La plastica ci circonda. Ma noi sappiamo riconoscerla e differenziarla adeguatamente? E qual è il suo destino dopo il nostro bidone?

STORIA E DIFFUSIONE DELLA PLASTICA

Guardiamoci intorno, siamo circondati da oggetti in plastica: confezioni per alimenti e bevande, oggetti e prodotti per l’igiene, scarpe e vestiti, automobili, giocattoli, ecc.… Sembra impensabile che questo materiale abbia una storia tanto recente: le prime sperimentazioni risalgono solo alla metà dell’800! A partire da un polimero naturale molto resistente (la cellulosa) fu creato il rayon o modal, fibra tessile tuttora in uso. Furono poi sviluppati diversi materiali: la celluloide, la bakelite, il PVC, il cellophane, ecc.

Progressivamente è andata sostituendosi agli altri materiali, come i metalli, il vetro e la carta. Cos’ha potuto decretare questo imponente successo della plastica? Il segreto è nel suo nome: il termine “plastica” si riferisce ad una gamma di materiali differenti, accomunati dalla struttura chimica (catene di polimeri), realizzata a partire da combustibili fossili.

[Attenzione: un discorso a parte riguarderebbe le bioplastiche, ovvero polimeri di più recente introduzione ottenuti a partire da fonti rinnovabili (ad esempio mais o canna da zucchero), ma li tratteremo in altra occasione]

UNA GRANDE VARIETÀ DI MATERIALI

Il nome ne rivela anche un’altra caratteristica, forse la principale: “plastico” è ciò che ha la proprietà di ricevere facilmente una certa forma e di conservarla, adattandosi quindi facilmente a molteplici esigenze.

Nel corso dei decenni sono stati (e vengono tuttora) progressivamente studiati, sviluppati ed adattati composti sempre diversi, in funzione di precisi scopi e funzioni da assolvere. Si spazia da materiali rigidi (come i serramenti in PVC o molti elementi delle nostre automobili) ad altri estremamente leggeri e schiumosi (il polistirolo espanso), a fibre tessili (il nylon è la più famosa, ma ne sono state sviluppate molte altre, come il polietilene dei maglioni in pile) fino a film sottili come le pellicole per gli alimenti o confezioni per uso medico-sanitario.

Questa molteplicità di forme può essere ottenuta attraverso processi di fusione a temperature tra 200° e 300°C, nei quali, scegliendo tra un’ampia varietà di materiali di base (i monomeri) si costituiscono i polimeri (lunghe sequenze di unità ripetitive, che possiamo immaginare come “collane di perle”).

Grazie all’aggiunta di colori ed additivi il composto può assumere, una volta raffreddato, caratteristiche e prestazioni ben precise, come la resistenza alla trazione o alla luce solare, la permeabilità all’aria o a particolari gas, e molte altre ancora.

TIPOLOGIE ED IMPIEGHI

Sapete che esiste una classificazione ufficiale delle materie plastiche? Di sicuro vi sarà capitato di trovarne traccia su qualche oggetto (e forse vi sarete anche chiesti di cosa si trattasse): i polimeri più diffusi sono codificati con i numeri da 1 a 6, mentre al numero 7 corrispondono tutti gli altri tipi (e tutte le innumerevoli combinazioni).

Passiamoli in rassegna:

  1. Polietilene tereftalato (PET o PETE): tra gli usi più diffusi di questo polimero ci sono le bottiglie per bevande e le vaschette per alimenti;
  2. Polietilene ad alta densità (HDPE): forse la più comune tra le materie plastiche, si caratterizza per una particolare resistenza per cui è largamente impiegato nella produzione di contenitori rigidi (ad esempio per detersivi), ma anche tubi per il trasporto dell’acqua e del gas
  3. Polivinilcloruro (PVC): vanta innumerevoli applicazioni, in cui è richiesta particolare resistenza, come le grondaie o i serramenti, ma i dischi (i vinili, per l’appunto!)
  4. Polietilene a bassa densità (LDPE): materiale duttile e leggero, sintetizzato a partire dagli stessi polimeri del HDPE ma con un processo differente, idoneo all’impiego in film e pellicole di vario tipo;
  5. Polipropilene (PP): nella sua forma più diffusa presenta buona resistenza al calore e agli urti (e lo troviamo ad esempio nei paraurti e cruscotti per le auto)
  6. Polistirene o polistirolo (PS): esiste in varie forme, da quella rigida degli imballaggi per le uova o delle custodie per CD, alla forma espansa (EPS) di materiali leggeri e fonoassorbenti per l’edilizia o delle vaschette del gelato sfuso.
  7. E da qui l’elenco delle plastiche potrebbe non finire mai: esistono numerosi altri polimeri per i quali non è stato definito un codice specifico, oltre alle infinite combinazioni che possono comporre uno specifico materiale: ad esempio il poliaccoppiato dei cartoni per bevande, composto da film in PE (21%), alluminio (4%) e carta (75%).

In molti casi, tuttavia, la presenza di molteplici strati non è così evidente: guardando la pellicola che riveste le vaschette degli affettati al supermercato o alla confezione di caffè, avete mai pensato che potessero essere prodotti dall’accoppiamento di 2 o più film differenti? Ognuno di essi serve a conferire particolari caratteristiche all’imballaggio in questione.

TANTI MATERIALI PER UN SOLO BIDONE?

E con tutta questa plastica, quando non ci serve più, cosa si fa?

La risposta più ovvia è che vada gettata nel “bidone della plastica”. Ma attenzione a non fare di tutta l’erba un fascio: potrebbe non essere così semplice! Per differenziare correttamente, occorre conoscere almeno un po’ il funzionamento del sistema di recupero e riciclo della propria zona, oltre ad alcune nozioni di base in cui parliamo in questo articolo.

Vi siete mai chiesti perché si legge spesso sulle etichette “Verifica le disposizioni del tuo Comune”?

Il Comune, grazie al Gestore dei Rifiuti (IREN in diversi Comuni parmensi), si occupa della raccolta dei rifiuti.

I rifiuti raccolti, differenziati e indifferenziati, devono poi essere trattati. Il trattamento avviene in impianti privati dedicati, soggetti a specifiche autorizzazioni. Le regole locali di differenziazione dei rifiuti derivano proprio dalle modalità di funzionamento e operatività di questi impianti.

ESEMPIO PRATICO

L’esempio più eclatante è proprio la raccolta degli imballaggi in cartone poliaccoppiato: in molte zone vengono conferiti nella carta, mentre in altre (come in provincia di Parma) si raccolgono nella plastica. La differenza sta proprio nelle attività di trattamento che possono essere effettuate presso l’azienda e dalle tecnologie implementate nella separazione e rilavorazione delle diverse componenti.

“E QUESTO DOVE LO BUTTO?”

Esistono tuttavia ormai diversi strumenti che possono aiutarci a sciogliere il dilemma “E questo dove lo butto?”. Anni fa le Amministrazioni distribuivano alla cittadinanza vademecum cartacei: ve lo ricordate il Rifiutologo? E’ ancora valido e disponibile qui.

Anche la tecnologia ci viene in soccorso e possiamo affidarci anche a varie applicazioni. A livello nazionale si parla molto di Junker (non ancora attiva per il nostro territorio). Più specifica sicuramente è EcoIren, l’app che consente di:

  • conoscere le modalità di raccolta differenziata in vigore presso il proprio indirizzo
  • consultare il Rifiutologo,
  • prenotare il ritiro a domicilio di rifiuti ingombranti
  • verificare dove sono i Centri di raccolta (Isole ecologiche)
  • verificare dove sono i “Distributori Acqua Pubblica” (le cosiddette “Casette dell’Acqua”) più vicini.

COSA SUCCEDE DOPO IL BIDONE?

La filiera del riciclo della plastica è complessa, perché è composta da tre macro-processi: la raccolta differenziata, la selezione e l’effettivo processo di riciclo. Difficilmente un singolo impianto è in grado di trattare direttamente tutte le tipologie di polimeri.

La selezione è una fase cruciale da cui dipende l’effettiva possibilità di riciclare il materiale raccolto. I passaggi sono numerosi e spesso si svolgono in impianti differenti:

  1. selezione iniziale, per separare le parti ingombranti
  2. cernita, cioè l’eliminazione delle impurità
  3. divisione tra imballaggi flessibili (come i film) e quelli rigidi (i contenitori).
  4. separazione delle diverse plastiche: rivelatori ottici dividono gli imballaggi in specifici flussi per il riciclo attraverso il riconoscimento della superficie. Qui entrano in gioco una serie di difficoltà: l’accoppiamento di materiali diversi, l’uso di colore o di trattamenti superficiali riducono l’efficace riconoscimento del materiale, come pure la presenza di etichette di dimensioni troppo grandi sui contenitori.

Dopo un ulteriore controllo manuale, si passa al riciclo vero e proprio: si procede alla macinazione meccanica, al lavaggio e quindi alla separazione per flottazione (galleggiamento) dei diversi componenti, sfruttando le differenti densità dei polimeri. Dai frammenti si ottengono poi granuli simili ai polimeri vergini, da reimmettere nei cicli produttivi come Materie Prime Seconde.

Linee guida per la facilitazione delle attività di riciclo degli imballaggi in plastica

Avete visto quanta strada fanno i rifiuti una volta differenziati? È sicuramente un percorso lungo, accidentato e faticoso, ma se può dare vita a nuovi materiali, ne sarà di certo valsa la pena!

NON SOLO UNA QUESTIONE DI RACCOLTA DIFFERENZIATA

Purtroppo, non tutti i materiali hanno le stesse chanches di riciclo: ad esempio PET, HDPE e PP (quelli maggiormente utilizzati) sono più facilmente riciclabili rispetto a PVC e PS. Le ragioni sono tecnologiche oppure legate ai volumi di raccolta.

Gli imballaggi con CODICE 7, invece, essendo composti da più spessori non separabili, NON SONO PER NULLA RICICLABILI!!! Dovremo metterli nel bidone dell’indifferenziato e il loro destino sarà probabilmente un impianto di termovalorizzazione (inceneritore) o, ancor peggio, la discarica.

Da qui, un’ultima importante riflessione: non è solo una questione di responsabilità del “consumatore” finale, ma anche del produttore! Certamente, il primo deve saper differenziare correttamente. Ma qualsiasi oggetto, per “non diventare” rifiuto, deve essere eco-progettato: se scomponibile nei diversi materiali, potrà essere più facilmente recuperabile e riciclabile.

Consulta le indicazioni di queste Linee Guida per la facilitazione delle attività di riciclo degli imballaggi in plastica.

In altre parole, qualsiasi oggetto nasce col suo destino già segnato, ed è responsabilità dei produttori stabilire quale sarà! Riflettiamoci dunque e teniamone conto nelle nostre scelte quotidiane: se non si può riciclare, forse non lo dovremmo nemmeno comprare!